Un minuto è per sempre
Un minuto prima di schiantarmi stavo canticchiando una canzone dei Prozac+ che non sentivo da tanto tempo: “..un minuto come un’ ora come un giorno o forse più ..”.
La radio della mia automobile ha sempre passato i più singolari revival della mia giovinezza, nelle ore notturne, quando la gente comune è probabile che sia davanti alla tv.
Cantavo, stanca, aggrappandomi assonnata al volante dopo una giornata lunga ed intensa.
“Claudia, malgrado il tuo brontolare, ammetti che ti sono sempre piaciute le giornate intense..”
Di colpo un lampo verso il finestrino, un boato sordo, un grido acuto nelle orecchie e poi nulla; solo silenzio.
Un lungo, impenetrabile silenzio di pensieri annegati in un vortice nero.
Pensare che avevo ancora un sacco di cose da dire..
Parlo delle cose importanti, quelle che non si dicono mai.
Le mie figlie, non avrebbero mai saputo quanto io fossi fiera di loro; non glielo avrei potuto sussurrare con la voce commossa di una madre che assiste al loro diploma.
Non avrei potuto rassicurarle mentre piangevano per i primi strappi d’amore e neanche promettere loro che, più fossero cresciute e più tutto quel dolore, purtroppo, avrebbe avuto vita breve.
Avrei perso il loro sguardo di biasimo nel guardarmi indossare abiti “da vecchia” e il loro tono sofferente ai consigli non richiesti classici delle madri.
Non avrei potuto dire alla mia cara amica, così tanto immersa nelle sue sfighe, che la vita è bella anche quando fa male,che tutto il mondo arranca quanto lei e che le risate, più sono rumorose (e fastidiose) e meglio scoraggiano ciò che nel silenzio ci potrebbe toccare.
Non avrei potuto dire alla mia famiglia che sono sì diversa da loro, ma anche dall’idea che hanno di me.
Che la colei che sono, però, li ama anche quando non li tollera.
Un minuto e non avrei più potuto cantare una canzone a squarciagola, stonandola dall’inizio alla fine.
Un minuto e non avrei più spruzzato sul collo il mio profumo preferito, camminato scalza per casa, mangiato pollo arrosto con le mani, annusato l’erba tagliata, bevuto una birra ghiacciata, fatto all’amore, guardato la mia ombra lunga sotto al sole, ballato ad un concerto, confessato un segreto, chiuso un contratto dopo mesi di trattativa, abbracciato le mie figlie..
Senza se, senza ma, senza altra possibilità.
Tutto il vuoto che sento si trasforma in un desiderio di pianto.
Un minuto a volte è per sempre.
E mentre i miei pensieri fanno infinite capriole, arriva un dolore lancinante alla testa.
Il mio corpo si contorce su se stesso in uno sussulto che fa davvero male.
Una luce accecante mi ferisce gli occhi; il silenzio partorisce il caos.
Apro la bocca per urlare ma non riesco più a mettere insieme qualcosa di sensato.
Davanti a me una grande sagoma profumata di sudore e pianto.
Mi prende tra le braccia, mi stringe tra le braccia.
Ne rammento l’odore, come se fosse stato sempre il mio, il suo, il mio il suo..
Sono nuda.
Ho freddo.
Ho paura.
Per tranquillizzare il grido che irrompe dalla mia bocca, attacco il naso all’odore caldo che conosco.
La sagoma umida sulla quale sono appoggiata vibra per il suono lungo di una frase che non capisco:
“La chiameremo Claudia, come la mamma”.
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