cose

La soffocante schiavitù delle cose

Possiedo un sacco di cose: una casa (a dir la verità la possiede ancora la mia banca), dei mobili, degli elettrodomestici, tanti vestiti, tante scarpe, tanti cosmetici e una marea di scatoloni posizionati in garage (il cui contenuto mi è totalmente estraneo).
Ho due figlie che, a loro volta, sono proprietarie di giochi, vestiti, giochi, giochi, giochi, giochi.
Mi sono sempre reputata piuttosto fortunata e lo sono: in maniera molto simile a tanti di voi.
Fino a quest’ultimo periodo della mia vita.
Certo, perché, di colpo, mentre spostavo la roba accumulata negli anni, da una parte all’altra della casa, senza prendere una vera decisone sul da farsi, mi sono guardata allo specchio e, sudata come una lumaca, ho capito una cosa ovvia:
non sono io a possedere tutte queste cose quanto loro a possedere me.
Per non soffocare, devo continuamente fare pulizia, salvo poi accorgermi che ciò che butto o regalo, lo ricompro uguale dopo pochi mesi.
E tutto il tempo impiegato a cercare un oggetto che non trovo perché nascosto da mille altri?
E quello per pulire continuamente?
Tempo buttato, che potrei tranquillamente utilizzare per una passeggiata, un gioco con le mie figlie, un buon libro.
Vogliamo parlare della frustrazione del non potermi comprare una specifica marca di scarpe? (Loboutin n.38; il 24 Settembre è il mio compleanno, dopo giuro che mi disintossico).
Stesso discorso.
Le cose ci possiedono, non v’è dubbio alcuno e, più cose abbiamo, più deve essere grande il “contenitore casa” per la quale dobbiamo produrre reddito attraverso il nostro lavoro.
E non è finita: se non abbiamo ciò che reputiamo indispensabile, la frustrazione ci causa anche disagio.
In uno dei miei film preferiti, ovvero Fight Club, uno dei protagonisti dice: “Compriamo cose di cui non abbiamo bisogno con soldi che non abbiamo, per impressionare persone che non ci piacciono”.
E’ questo il punto!
La nostra ansia da prestazione dipende spesso dal non volerci sentire esclusi da persone che, tra l’altro, ci stanno pure sul cazzo.
Scarpe a parte (“Ciao, sono Claudia e sono una scarpista”..In coro:”Ciao claudia”..), noi non abbiamo bisogno di tutti questi oggetti perché “Le cose più belle, non sono cose”.
Io vorrei che ora tu, prima di dissentire, ti ricordassi l’ultima volta che sei stato felice.
Io, se devo essere onesta, penso di non essere stata neanche troppo vestita quindi.. Figuriamoci!
Scherzi a parte, vorrei tu sapessi che non sto facendo una crociata contro il comprare in generale.
Conosco le leggi della società, non sono nata sotto ad un cavolo (anche se mia madre continua ad affermarlo) e, anch’io come tutti, giro spesso su Privalia, Amazon ecc.. Con la bava alla bocca.
Non voglio che tu ti debba ritirare a fare il guardiano di un faro con una pila di libri per compagni (ho già mandato il curriculum: quel posto sarà il mio).
Non voglio nemmeno che tu sia come il protagonista di “Into the wild” che, dotato di una grande avversione al mondo capitalista, rinuncia a tutto e tutti per una scelta estrema.
Proiettato sulla ricerca della felicità, riesce a distribuirne tantissima grazie alla sua spiccata sensibilità, salvo poi accorgersi, quando rimane solo, che “la felicità è tale solo se condivisa”.
Mi piacerebbe però che la prossima volta che comprerai qualcosa, tu ti chiedessi se la noia che distruggi per i successivi trenta minuti, vale le ostie che tirerai a casa per trovare un posto in cui collocarla.
Se varrà il pezzo del viaggio al quale rinuncerai ed il tempo che non passerai con i tuoi cari, i tuoi amici o semplicemente in camminata, con la tua musica preferita nelle orecchie e le tue mutande comode, che hanno già qualche lustro.

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