Vagare, perdersi, trovarsi
Vagare è un lusso che difficilmente puoi goderti.
Tutte le volte che esci di casa, se ci fai caso, è per fare una commissione specifica, con un tempo preciso a disposizione.
La tabella di marcia quotidiana è asfissiante, quasi come stessi giocando a tetris con la tua stessa vita.
La vera tragedia però non è questa.
La vera tragedia è che, per un’ atavica difesa risalente all’uomo primitivo , vagare non ci viene più molto spontaneo.
La maggior parte delle persone che conosco, alla domanda “come stai?” rispondono che sono stanche.
Come è possibile che sia così dal momento che non si svegliano la mattina alle cinque per andare a cacciare brontosauri per colazione?
La risposta è che la nostra testa è stanca di ricevere tutti quegli input legati al “dover fare”.
Scriviamo la lista della spesa mentre guidiamo; facciamo la lavatrice mentre rispondiamo al telefono; facciamo sesso mentre pensiamo alla cena del giorno dopo (pollo o gamberoni al sale?).
Siamo schiavi di un’epoca asfissiante ma soprattutto siamo schiavi di noi stessi perché, se vogliamo sopravvivere, dobbiamo far correre la testa.
Così la mattina all’alba, quando esce la gazzella, il leone e il mio vicino di casa che va a fare colazione, io ho deciso di perdermi.
Faccio piccole corse o passeggiate, lasciando che i miei pensieri vadano dove vogliono e, di colpo, mi sembra che il paesaggio mi venga incontro, quasi come fossi su un enorme tapis roulant.
E’ la mia piccola ribellione a questo mondo in cui, per il resto del tempo, assomigliamo più a Cyborgs disumanizzati.
Vagare, perdersi, ritrovarsi.
E’ questo poi il senso della vita.
Mantenere il legame con noi stessi per potersi spingere oltre quei confini che non abbiamo ancora valicato, al fine di poter tornare indietro con qualcosa di raccolto su un terreno inesplorato.
I bimbi lo fanno continuamente; è questo che permette loro di evolversi così rapidamente.
Gli adulti invece, tendono a costruirsi un recinto sempre più stretto che coltiva credenze radicate e abitudini programmate, al fine di creare una piccola ma asfissiante zona di confort.
Ci costruiamo attorno sbarre di ferro, che faremo sempre più fatica a scavalcare.
Quando ti perdi invece non sei padre, madre o dottore.
Sei Federico, Samuele o Annalisa.
Potresti anche scoprire che in realtà sei estremamente diverso da ciò che hai “deciso” di essere.
Non sempre ciò che vedo di me mi piace ma scopro anche tante sfumature che mi servono ad essere più felice.
Mentre vagavo ho deciso di ricominciare a scrivere, ho capito che alcune cose le dovevo cambiare, ho pianto le situazioni da chiudere.
Fa bene, fa male, fa sentire ma tu non avere paura: vaga! Poi perditi ed infine ritrovati.
E quando tornerai con qualcosa di raccolto in mano, che sia un granello, uno scorpione o un tesoro, avrai finalmente la possibilità di scegliere che cosa ne farai.
Perché ricorda: per quanto i confini delle nostre credenze, radicati nella quotidianità, ci facciano sentire molto più sicuri, è la verità che ci rende liberi.
Wooow….inizierò a perdermi!
Brava Bea!!!!:-)